Imprese e non profit, la corsa per offrire i servizi di welfare
Aumentano
le attività dedicate, ma non si ferma neppure la crescita delle
istituzioni senza fini di lucro. Che maturano: salgono i lavoratori
stipendiati, anche se il motore restano i 5,5 milioni di volontari
Con
il settore pubblico in ritirata, sono sempre più imprese e
istituzioni non profit a presidiare il terreno dell’offerta di
servizi e prestazioni di welfare, sotto il cui cappello vanno
l’assistenza sanitaria così come la cura a domicilio, ma anche le
residenze per gli anziani o gli asili e l’istruzione. A certificare
la transizione del sistema negli ultimi anni è stata una recente
ricerca della Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi:
secondo i dati elaborati dall’organismo lombardo, le imprese attive
in questi settori sono ormai 12 mila in Lombardia, +3% in un anno e +
58% in dieci anni, e 70 mila in Italia, + 3% in un anno e + 43% in
dieci anni.
In
aumento anche gli addetti: se si prende il totale nazionale, si
arriva a 832 mila persone in Italia, rispettivamente +45% dei posti
di lavoro nel decennio. Roma è la prima per numero di imprese
registrate, con 6.229 imprese e 87 mila addetti (+3,9% in un anno e
+37% in dieci anni), poi Milano (4.942 imprese, +3,5% e +51% con 74
mila addetti), Napoli (3.898 imprese, +13% in dieci anni con 31 mila
addetti), Torino (2.832, +52% con 35 mila addetti).
Forte
il peso delle donne con circa un terzo, il 35% del settore in Italia
e il 30% in Lombardia. I giovani pesano il 6% delle imprese italiane
e il 5% regionale e gli stranieri il 4% regionale e lombardo.
Ma
non è solo ‘profit’ il mondo del welfare. Anzi, storicamente è
stato proprio il ‘non profit’ a cercare di dare risposte in questo
settore. E anche da questo punto di vista, i numeri messi in fila
dalla Camera di Commercio (sulla base dei censimenti Istat) sono in
crescita. Sono oltre 340mila le istituzioni non profit, di cui quasi
55mila si trovano in Lombardia, regione che detiene il 16% del
settore, ovvero la presenza più consistente tra le regioni italiane.
In 5 anni si registra una forte crescita del numero di istituzioni in
tutte le regioni, seppure con valori più elevati in Lombardia, dove
crescono del 19,2% (+14% in Italia). Secondo il rapporto, il maggior
numero di istituzioni opera nel settore cultura, sport e ricreazione,
che da solo pesa per più della metà del totale con il 63,2% (64,3%
in Italia), ma occupa solo il 5,1% di addetti (6,3% in Italia). Più
in generale, dice il rapporto, si tratta di istituzioni che hanno un
orientamento prevalentemente solidaristico (sono dunque votate al
benessere della collettività), piuttosto che mutualistico (quindi
rivolte ai soli associati).
In
cinque anni aumenta significativamente anche il personale retribuito,
questa volta più in Italia (+19,4%) rispetto alla Lombardia (+9,3%),
che impiega 181.143 addetti nel 2016. Il non profit regionale,
tuttavia (così come quello nazionale), si basa prevalentemente sui
lavoratori volontari, piuttosto che retribuiti. Quello dei volontari
è un esercito che raccoglie oltre 5,5 milioni di persone in Italia,
di cui un milione solo in Lombardia; valori saliti di 24,1 punti
percentuali per la Lombardia e 16,2 per l’Italia. “I dati di
crescita sia del personale retribuito, sia del numero di volontari,
sono, dal nostro osservatorio, conferma della maturazione del ‘non
profit’, una maturazione auspicata e auspicabile perché di comune
beneficio. L’aumento di lavoratori è sintomo di un non profit che
cresce e che comprende come alcune funzioni, superata una certa
soglia, necessitino di continuità, di capacità di lettura e analisi
pedissequa dei contesti, di responsabilità, talvolta di competenze e
know how specifici e difficili da ritrovarsi persino tra i migliori
professionisti”, ragiona Mara Moioli, cofondatrice della
piattaforma Italia
non profit che
si propone proprio come piattaforma di approfondimento del settore e
di raccolta di dati sulle organizzazioni, in modo da renderlo più
trasparente.
“La
tendenza generale verso la professionalizzazione da un lato può
essere legata alla maggior normazione di diversi ambiti delle
politiche di welfare, sia a livello legislativo che amministrativo,
dall’altro può essere dovuta alla modifica dell’impianto del
sistema di welfare che delega sempre di più interventi al Terzo
Settore. Inoltre, vi è da parte degli enti una maggior capacità di
raccogliere fondi, di gestire investimenti e di visione
imprenditoriale”. Quel che bisogna chiedersi, dice Moioli, è ”
quanto sarà duratura questa tendenza, e quali strategie stanno
adottando le organizzazioni per tutelare i propri lavoratori e
garantire una continuità”
Quanto
alla figura del volontario, per Moioli anche in questo caso sta
evolvendo: “Le persone tendono a svolgere un volontariato più
occasionale, per più di una realtà e per periodi più brevi, con un
risvolto più pragmatico, immediato che in passato. Il digitale sta
accrescendo le opportunità di incontro fra persone ed enti, e
favorisce la facilità di mobilitazione e coinvolgimento del tessuto
sociale per contribuire al perseguimento della mission dell’ente”.
Il giusto mix tra le due componenti è la chiave per una buona
impresa: “Ogni causa sociale, e al suo interno, ogni
organizzazione deve trovare l’equilibrio perfetto fra risorse
professionalizzate retribuite e volontari, e fra questi occorre
ricercare il perfetto bilanciamento fra volontari occasionali e
regolari dal momento che rispondono ad esigenze diverse e si
alimentano di aspettative differenti, non sostituibili. In virtù di
questa evoluzione alcune organizzazioni non profit stanno modificando
le comunicazioni e i piani di acquisizione di nuovi volontari. Quale
che sia l’alchimia trovata un Terzo Settore ricco di volontari è di
per sé un bene: il volontariato è crescita, formazione,
acquisizione di competenze”.
(fonte:repubblica.it)